Come far crescere un’azienda con il growth hacking

Come far crescere un'azienda con il growth hacking
In questo periodo si parla molto anche in Italia del growth hacking come strumento per far crescere le aziende e le imprese, ed anche se in America sono più di dieci anni che il growth hacker è riconosciuto come una figura professionale che opera nel digital marketing, nel nostro paese ci sono ancora pochi specialisti del settore.
Come ci spiega il titolare dello studio di consulenza marketing AppTur, il growth hacker Antonio Papini, in Italia il termine growth hacking fa parte dell’infinito mondo del digital marketing ed è un termine relativamente nuovo. Nasce per potenziare la crescita, soprattutto delle PMI (piccola e media impresa) e delle start-up, le quali, seppur abbastanza finanziate, hanno poco tempo per dimostrare di essere un progetto di successo, pena il ritiro dei finanziamenti.
Per questo motivo alle giovani imprese serviva uno strumento di marketing velocissimo che ragionasse fuori dagli schemi (hacker) e che facesse crescere ( growth) i fatturati di una azienda.
Che cosa è il growth hacking
Il growth hacking nasce anche come strumento a basso costo, visto che le risorse di una start-up sono dedicate al progetto principale e non esistono dipartimenti di sviluppo o marketing al loro interno. Questo strumento ha funzionato talmente bene che è stato adottato anche dalle multinazionali.
Il growth hacking spesso si compone da una squadra di specialisti come esperti di marketing, sviluppatori, ingegneri informatici e ingegneri di prodotto che lavorano insieme con l’obiettivo di coinvolgere ed interessare il più ampio numero di utenti o clienti finali.
Molte volte il canale scelto per operare non è quello ormai che spesso, erroneamente, si ritiene superato della Tv o della stampa, ma quello delle nuove tecnologie legate al web e alle applicazioni di maggior successo nella fascia (target) di interesse dell’impresa.
Traducendo più ampiamente il termine in italiano, potremmo dire che siamo di fronte a un professionista o ad una squadra di professionisti che uniscono le loro competenze per raggiungere un obiettivo comune per il loro committente. Gli obiettivi variano in base allo stato evolutivo o attuale dell’azienda stessa, quindi capita spesso che all’inizio la priorità sia acquisire e farsi conoscere dai potenziali clienti e in un secondo tempo invece divenga il consolidamento sul lungo termine del business.
A titolo esemplificativo, gli stumenti più comuni del growth hacking sono l’email marketing, la SEO (indicizzazione di un sito web sui motori di ricerca), i funnel per creare lead generation,. la link building, la brand promotion, le digital PR e le strategie virali e l’analisi dettagliata delle pagine web e degli utenti in chiave di gestione del marketing (Analytics).
La forza di questo strumento è la sua grande versatilità e il raggiungimento di un obiettivo che o da soli o in team sia in grado di affrontare le sfide e i problemi in maniera meno “ingessata” rispetto a come vengono di solito affrontati nelle realtà strutturate aziendali.
Rimane da capire come poter utilizzare questo utilissimo strumento. Visto che il Growth Hacking è soprattutto una modalità organizzativa, lo si può perseguire in due modi. Se si è ancora piccoli, si può utilizzare un’agenzia specializzata, che utilizzerà il proprio team per curare gli interessi di sviluppo del cliente per un certo periodo e con certi obiettivi.
La aziende più strutturate, invece, che possono già contare su un certo numero di dipendenti con competenze più ampie possono creare un team interno super visionato da un consulente esterno che opera come growth hacker.
Quest’ultimo passaggio può apparire complicato, ma alla fine è il più premiante. Una volta individuati i soggetti destinati al team di Growth Hacking, bisogna formarli con appositi corsi e poi dar loro mano libera in termini di creatività e iniziativa per liberare le capacità creative della squadra e del singolo componente.
Pensate che questo sia incompatibile con le procedure di una grande azienda? Assolutamente no: il team esterno o quello interno elaborano i piani sempre in libertà, ma lo step successivo è sempre lo stesso, la presentazione e l’approvazione da parte dei vertici aziendali.